Management

L’attualità della retorica nel mondo digitale

Anche nel business, il digitale è ormai il principale strumento sia di produzione di contenuti sia di supporto alla
comunicazione, sempre più articolata e sofisticata. Uno scenario che ripropone, come nel passato, l’importanza dell’arte
del dire, in altre parole la retorica, strumento ancor oggi efficacissimo e indispensabile per i manager e per il successo delle imprese

Pubblicato il 23 Giu 2014

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di Andrea Granelli, consulente e scrittore

Il digitale non è più solo il luogo della proceduralizzazione, dell’automazione, dell’archiviazione, delle transazioni (commerciali e finanziarie). E neanche il luogo del racconto digitale a tutti i costi (siti web, banner pubblicitari, presenza digitale sui social media, …). Sta divenendo anche il luogo in cui si raccolgono gli indizi per comprendere e pre-figurare i futuri comportamenti dei mercati; oppure l’ambiente in cui prendere decisioni complesse integrando informazioni parziali e talvolta contraddittorie. Ma soprattutto è oramai diventato il luogo principe della comunicazione.

La pervasività del digitale e il suo essere il principale strumento sia di produzione di contenuti sia di supporto alla comunicazione è oramai un fatto assodato: “con” e “nel” digitale si comunica per convincere (i propri partner, azionisti, …), per motivare (i propri collaboratori), per sedurre (i propri clienti), (a noi stessi) per trovare nuove correlazioni fra fatti noti e intuire nuovi fenomeni.

Queste articolate e sofisticate forme di comunicazione non possono nascere da una banale ”digitalizzazione” delle comunicazioni tradizionali. Sempre più frequentemente, infatti, il digitale diventa occasione per un vero e proprio ripensamento dello stesso atto comunicativo, delle sue forme e dei suoi obiettivi. Già il famoso Cluetrain Manifesto – il noto pamphlet scritto nel 1999 da un gruppo di esperti di Internet – affermava in maniera chiara come oramai le regole del gioco della comunicazione fra aziende e clienti fossero cambiate in modo radicale.

Un ripensamento dei flussi comunicativi per cogliere le opportunità di queste nuove tecnologie forza, quindi, a rivedere anche gli strumenti e le tecniche che producono i contenuti e le modalità con cui questi strumenti e tecniche devono essere impiegate.

Va quindi ripensata l’arte del dire – in altre parole la retorica – usando la lente del digitale. Per altro McLuhan, noto sociologo canadese, ci ha sempre ricordato che “Il mezzo è il messaggio”: il mezzo (digitale) condiziona fortemente i contenuti che veicola ed esso stesso diviene messaggio. Mandare un SMS, una mail, produrre e pubblicare un filmato su YouTube o scrivere “I like” su Facebook, sono atti comunicativi dove già la scelta di un certo ambiente rispetto a un altro veicola un’informazione; inoltre l’ambiente scelto comporta una specifica articolazione del messaggio, forzando regole sintattiche e semantiche e imponendo stili comunicativi e netiquette.

La retorica è la più importante e potente tecnologia della mente. Il saperla padroneggiare permette ai più esperti – come nel caso del software – di avere capacità performative infinitamente superiori alla media.

Nel mondo del software – notava Nathan Myhrvold, ex capo scienziato di Microsoft – gli sviluppatori eccezionali sono più produttivi di quelli “normali” secondo un fattore non di 10 o 100 o 1000, ma di 10.000.

Le scienze umane – di cui la retorica è parte integrale e originaria – sono le fondamenta su cui poggiare le competenze specialistiche (economiche, tecniche…) e il framework che consente di usarle al meglio e soprattutto in contesti differenti da dove sono state apprese. In particolare la retorica è a fondamento dell’atto stesso del pensare, poiché fornisce una conoscenza non solo linguistica ma anche logica, una capacità di analisi dei problemi e una tecnica di svolgimento della disputa filosofica (la quaestio) in cui la strategia argomentativa è parte decisiva.

Non è dunque in questione solo un tema di produttività cognitiva o di abilità espressiva: c’è molto di più; con la retorica entrano in gioco l’efficacia, la creatività, l’astuzia, il saper convincere e spingere all’azione, il motivare “senza leve” (com-movere), l’intuire prima degli altri, il riuscire a districarsi anche in situazioni complesse…

È da questo potere quasi magico dell’atto comunicativo che deriva la famosa frase di Gorgia da Lentini – italiano e uno dei padri della retorica – sulla parola, considerata “pharmacón” e cioè una sorta di droga: “La parola è un potente sovrano, poiché con un corpopiccolissimo e del tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente divine. Infatti essa ha la virtù di troncare la paura, di rimuovere il dolore, d’infondere gioia, d’intensificare la compassione”.

In particolare su questo argomento è appena uscito – per i tipi di Egea – un mio libro scritto insieme a Flavia Trupia. Il titolo è “Retorica e business. Intuire, ragionare e sedurre nell’era digitale”. Il libro affronta molti dei temi accennati in questo articolo.

Inoltre – sempre più frequentemente – il digitale ci “scappa di mano” senza che ce ne rendiamo conto. Il diluvio della posta elettronica, le interruzioni continue a causa degli avvertimenti digitali (SMS, tweet, chat, social media) che ci impediscono di concentrarci, la sempre peggiore qualità delle informazioni che troviamo sulla Rete “a distanza di click…”. E spesso il problema non dipende dalla qualità delle soluzioni digitali acquistate ma dalle pratiche di utilizzo, non accuratamente progettate e – soprattutto – non sufficientemente monitorate.

Non basta dunque una semplice alfabetizzazione; ciò che serve è una vera e propria educazione al digitale che crei non tanto una conoscenza dell’ABC dei suoi strumenti, ma una vera e propria digital awareness & proficiency capace di farci comprendere l’ambiente digitale e rendere possibile un suo utilizzo efficace e soprattutto secondo i nostri bisogni. Dobbiamo dunque essere in grado di afferrare:

  • i criteri “obiettivi” di scelta di un certo tipo di soluzionetecnologica, con particolare attenzione agli impatti e agli effetti “collaterali”;
  • le precondizioni di utilizzo del digitale (culturali, organizzative, normative…);
  • gli elementi per costruire Business Case realistici (evitando di sovrastimare i ricavi e sottostimare costi, rischi e tempi attuativi);
  • le implicazioni organizzative, psicologiche e linguistiche e cioè cosa deve essere cambiato per usare al meglio le soluzioni tecnologiche adottate;
  • i lati oscuri e gli aspetti più problematici del digitale, da cui ci si deve tenere lontani.


Il tema non è più demandabile solo ai tecnici. I leader del XXI secolo dovranno saper padroneggiare le tecnologie ICT e muoversi a loro agio nell’ambiente digitale.

Questa – da alcuni già chiamata eLeadership – sarà una competenza chiave poiché la competitività di un’azienda dipenderà sempre di più anche da come il digitale verrà utilizzato internamente e nei confronti dei clienti.

La società McKinsey, in una ricerca del 2013, osservava: “we want to emphasize the importance, for many business leaders, of making the mind-set shift required to embrace the importance of digital capital fully”. Ma per creare consapevolezza e proficiency sul digitale non basta la conoscenza tecnica del suo ambiente e delle sue dinamiche. Vanno infatti affiancate e rafforzate alcune specifiche competenze che potremmo chiamare le soft skill del XXI secolo:

  • organizzare e gestire il tempo (proprio e dei collaboratori) – uno dei fattori produttivi più preziosi del manager, sempre più “divorato” da un uso inconsapevole degli strumenti digitali;
  • costruire, manutenere e (ri)utilizzare la propria conoscenza, che va molto di là del knowledge management aziendale;
  • saper leggere e comprendere (sense making) gli indizi e segnali deboli che ci circondano per anticipare i fenomeni e coglierne le implicazioni prima dei concorrenti (o dei nuovi entranti);
  • padroneggiare gli elementi base della retorica – l’arte del ragionare (e del dire) – per intuire, motivare, negoziare, gestire conflitti, persuadere, anche all’interno dell’ambiente digitale.


Solo in questo modo i manager potranno cogliere a pieno le straordinarie opportunità offerte dalla rivoluzione digitale senza cadere nelle sue trappole o farsi ingannare dalle sue sirene.

**********DA SAPERE***********

Nuove competenze in azienda: le soft skill del XXI secolo

La più importante cosa da fare oggi è probabilmente ridare una (nuova) centralità – all’interno dei saperi “produttivi” del XXI secolo – alle scienze umane e soprattutto alle arti liberali, allontanate dai curricula studiorum di manager e ingegneri in quanto “non servono a guadagnare del denaro”.

Nel mondo le cose si stanno muovendo, e in fretta. Si stanno per esempio diffondendo i corsi di Rhetorical Criticism, inteso come il processo capace di investigare e spiegare la creazione dei simboli associati a una vasta gamma di oggetti e prodotti culturali (non solo discorsi, ma oggetti, edifici, film,…). L’obiettivo è dunque quello di comprendere come questi oggetti riescano a educare, informare, intrattenere, emozionare e, appunto, persuadere l’audience per cui sono stati concepiti, facendo leva su una nozione specifica di retorica. Come scrive Sonja K. Foss, “la retorica è l’uso umano dei simboli per comunicare”.

Inoltre alcune università hanno attivato in tempi recenti moduli formativi di retorica propedeutici e obbligatori. Per esempio l’insegnamento di Eloquentia Perfecta alla Fordham University di New York.
Altre realtà accademiche hanno addirittura creato programmi congiunti: interessantissimo è, per esempio, il programma di Harvard e MIT di Boston sulla negoziazione (The MIT-Harvard Public Disputes Program) che affronta uno dei tre tipi di discorso retorico – quello giudiziario – e le sue componenti più dialettiche.

Le soft skill sono dunque sempre più indispensabili per competere in un mondo incerto, cangiante, information intensive e dominato dalla tecnica. Un recente rapporto McKinsey (Education to Employment) ha messo in luce che tre delle quattro competenze più richieste sono soft: Work ethic, Teamwork, Oral communications; e le soft skills si alimentano di scienze umane.

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