Analisi

Smart working, così le imprese possono risparmiare 37 miliardi di euro

Modelli di lavoro “intelligenti” consentono un incremento medio della produttività del 5,5% e un risparmio di costi diretti per circa 10 miliardi di euro. E se le grandi aziende stanno facendo propri i concetti di organizzazione del lavoro non convenzionale, nelle PMI è ancora difficile parlare di lavoro flessibile o innovazione nel layout degli uffici. L’analisi dell’Osservatorio Smart Working

Pubblicato il 02 Ott 2013

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37 miliardi di euro. A tanto ammonterebbero i risparmi se le imprese italiane adottassero modelli di lavoro orientati allo smart working e all’impiego delle soluzioni ICT.

E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

37 miliardi di euro. Una cifra pari a una grossa Finanziaria (o Legge di Stabilità). E come si arriva a risparmiare questa montagna di soldi? “Grazie all’aumento  della produttività e della qualità del lavoro delle persone, alla riduzione dei costi di gestione, migliorando nel contempo la soddisfazione e il coinvolgimento dei dipendenti” osserva Mariano Corso,  responsabili scientifico dell’Osservatorio.

I calcoli sono presto fatti. Le analisi del Politecnico su circa 600 aziende e 1.000 addetti (fra dirigenti, quadri e impiegati) dicono che la diffusione di modelli di smart working consentirebbe un incremento medio di produttività del 5,5%; un 3,5% arriva da una diffusione del telelavoro in linea con quella dei Paesi avanzati; un altro 0,5% dalla riduzione dei tempi di trasferta; e un 1,5% da una maggiore produttività del lavoro in mobilità attraverso un sapiente uso dei terminali mobili. Totale: 5,5% che proiettato sul numero delle imprese significa un “tesoretto” di 27 miliardi di euro.

A ciò si aggiungono altri 10 miliardi di euro di risparmi diretti che possono arrivare da una riorganizzazione degli spazi di lavoro (1,3 miliardi), accompagnata da procedure di flessibilità di orario e di luogo di lavoro (8,6 miliardi). Si arriva così a 37 miliardi.

Ma non solo, l’introduzione del telelavoro e la conseguente riduzione degli spostamenti dei lavoratori possono produrre risparmi economici per i cittadini pari a circa 4 miliardi di euro (circa 550 euro per lavoratore all’anno) e a una riduzione di emissioni di Co2 pari a circa 1,5 milioni di tonnellate l’anno.

Cos’è lo smart working?
Se i risparmi ottenibili sono chiari, ben più sfumato è il concetto di “smart working”. Cosa vuol dire lavorare in modo intelligente? “Il fenomeno è ambiguo e complesso” spiega Corso. “Se metti allo stesso tavolo un CIO, un direttore delle risorse umane, diversi manager di linea, ti rendi conto che ciascuno parla di una cosa diversa. E’ il fascino dei temi importanti”.

Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza. Secondo l’Osservatorio, per smart working si intende l’uso di “modelli organizzativi non convenzionali caratterizzati da maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti di alla ricerca di nuovi equilibri fondati su una maggiore libertà e responsabilizzazione dei lavoratori”.

Va da sé che l’uso della tecnologia digitali e l’adozione di policy innovative siano basi sulle quali agire per adottare un modello di smart working.

Le 4 leve sulle quali agire
In particolare le analisi dell’Osservatorio si focalizzano su 4 leve principali:

  • Policy organizzative, ovvero le linee guida relative alla flessibilità di orario, luogo e strumenti di lavoro
  • Comportamenti e stili di leadership, legati sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei “capi” all’esercizio dell’autorità e del controllo
  • Layout fisico degli spazi di lavoro, che condiziona efficienza, flessibilità e benessere delle persone e ne può orientare e facilitare, o meno, la collaborazione;
  • Tecnologie digitali che possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitare e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione e la collaborazione fra figure interne ed esterne all’azienda

Nel percorrere questo “smart journey”, il concetto di “cultura” assume una valenza particolare. Bisogna avere la “cultura” di superare stereotipi tradizionali (gerarchia, subordinazione, standardizzazione dei compiti) per adottare un modello diverso dove la fanno da padrone concetti quali: la responsabilizzazione diffusa, la collaborazione emergente, la flessibilità adattativa e la valorizzazione dei talenti individuali.

Le differenze fra grandi e piccole aziende
Concetti che iniziano a far parte del bagaglio di esperienze delle grandi imprese italiane, ma che vengono poco considerati fra le PMI.

“Nelle PMI la flessibilità nell’orario di lavoro è presente nel 25% dei casi, ma è offerta a tutti i dipendenti solo in 1 azienda su 10. Il telelavoro è presente nel 20% delle imprese, ma è concesso a tutti i dipendenti in meno del 2% dei casi”, spiega Fiorella Crespi, ricercatore dell’Osservatorio

Nelle grandi aziende italiane, la diffusione della flessibilità nell’orario di lavoro è circa il triplo delle PMI, quella del telelavoro doppia. Le grandi aziende sperimentano nuovi layout fisici degli spazi di lavoro: circa un’impresa di grandi dimensioni su due ha in atto iniziative di riprogettazione degli edifici con la creazione di ambienti maggiormente aperti, flessibili e orientati alla collaborazione e al benessere delle persone (“concentration room”, aree relax, postazioni non riservate). In questo senso è significativa l’esperienza di Tetra Pak.

Nelle PMI emerge un modo arretrato di considerare il lavoro che si riflette in una limitata soddisfazione dei lavoratori: circa un terzo degli utenti business si dichiara poco o per nulla soddisfatto sul fronte della flessibilità del luogo e degli orari di lavoro.

“Ma attenzione al concetto di flessibilità” precisa Cristiano Radaelli, presidente di Anitec (Associazione Nazionale Industrie Informatica, Telecomunicazioni ed Elettronica di Consumo). “La flessibilità deve riguardare il modo in cui si gestisce il proprio lavoro. Il problema è che spesso nelle aziende i compiti non sono ben assegnati. Il lavoro assegnato non è flessibile: ci deve essere rigidità nell’allocazione del lavoro e flessibilità nel modo in cui lo faccio”.

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