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Più regole e merito per far crescere l’Italia

Il nostro Paese può diventare più ricco e più giusto solo combattendo la cultura antimeritocratica, che falsa le valutazioni e penalizza l’eccellenza, e la mancanza di rispetto delle regole, che frena lo sviluppo. Serve una profonda trasformazione, che deve partire dai più giovani.
Intervista a Roger Abravanel, consulente e saggista

Pubblicato il 11 Mar 2013

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Roger Abravanel, Consulente e saggista

Nel suo recente saggio, dal titolo provocatorio “Italia, cresci o esci!” Roger Abravanel sostiene che l’Italia delle piccole aziende, che ne hanno fatto la fortuna economica nel passato, non può più reggere la competizione globale e che il made in Italy, da solo, non è più sinonimo di successo. “Piccolo” dunque, non è più “bello”, in un contesto in cui la cultura del merito e del rispetto delle regole sono scarsissime.

Ingegner Abravanel, perché il modello delle PMI italiane non funziona più?
La globalizzazione ha creato forti sfide al modello di successo: essere piccoli non consente per esempio di andare in Cina in maniera efficace e di investire in tecnologia. Il made in Italy va ancora bene per il lusso, ma oggi bisogna produrre in più parti del mondo e non solo produrre, ma anche commercializzare. Inoltre, negli ultimi 25 anni l’economia è diventata post-industriale e ciò significa che i servizi sono oggi preponderanti. E l’Italia delle piccole imprese, che spesso non rispettano le regole e non valorizzano il capitale umano, non è riuscita a cavalcare con successo questa transizione. Le PMI italiane devono voler crescere. “Piccolo è brutto” perchè inefficiente, è anzi “bruttissimo” quando fa concorrenza sleale con il nero a imprese piccole e medie che vogliono crescere.

La sua visione del mercato del lavoro in Italia è quella di un’apartheid: da una parte super privilegiati inamovibili e dall’altra precari senza alcuna garanzia. Come può una repubblica fondata sul lavoro tollerare una tale separazione sociale, nel lungo periodo?
Io non credo che si tratti di un problema di non rispetto della costituzione, ma di una profonda inequità che è anche improduttiva, perchè l’assenza di meritocrazia individuale non consente di valorizzare appieno il capitale umano nella società post-industriale.

Nelle sue analisi emerge che un grande problema dell’Italia è la cultura antimeritocratica, che falsa le valutazioni e penalizza l’eccellenza che non riesce a emergere. Da dove bisognerebbe partire, dunque, per cambiare questo approccio culturale?
I migliori devono essere premiati, sia in senso economico che in generale sul fronte del successo professionale e personale. Invece, le aziende italiane sono state poco interessate al talento perchè avevano successo aggirando le regole, per esempio assumendo il figlio di un loro cliente che poi le favoriva nell’appalto. Il talento che hanno valorizzato non è quello insito in una persona e in ciò che sa, ma in chi conosce.

Un altro pilastro su cui oggi poggiano i problemi del nostro Paese è quello del mancato rispetto delle regole. Siamo il paese dei furbi. Ce l’abbiamo nel DNA o il problema è altrove e può essere risolto?
Non ce l’abbiamo nel DNA. Semplicemente non abbiamo capito che dobbiamo rispettare le regole perchè ci conviene e non per ragioni morali.

Cosa si sente di dire ai giovani demotivati che ritengono che nel nostro Paese non esistano più opportunità per loro?
Di impegnarsi comunque perchè le opportunità ci sono. Nel mio ultimo saggio “Italia cresci o esci!” ho scritto 8 suggerimenti concreti per i giovani:


1. Fare tutto il possibile per raggiungere al più presto l’indipendenza economica dalla famiglia.
2. Cercare la miglior istruzione, indipendentemente dal “pezzo di carta”, per entrare nel mondo del lavoro il prima possibile.
3. Coltivare con entusiasmo le proprie “passioni” nello studio e nella vita.
4. Abbandonare la “confort zone”.
5. Iniziare a “restituire” alla società.
6. Investire nella capacità di comunicare.
7. Non avere paura dei fallimenti. Anzi, accettarne i benefici nascosti.
8. Ricercare incessantemente la meritocrazia e il rispetto delle regole.


********* Cos’è la meritocrazia secondo Abravanel*********
Licenziare i “fannulloni” nel settore pubblico? Eliminare le raccomandazioni? Nulla di tutto ciò. Licenziare i “fannulloni” è sacrosanto, ma cosa fare dei milioni che non sono fannulloni e che bisogna valorizzare? Negli USA, patria della meritocrazia, le “recommendations” portano a riempire un posto di lavoro su due. Si tratta però di “raccomandazioni” molto diverse dalle nostre. Chi segnala qualcuno particolarmente bravo e adatto per un posto di lavoro lo fa con grande cautela, perché mette in gioco la propria stessa reputazione e risponderà moralmente della performance della persona segnalata; da noi, invece, si raccomandano con leggerezza persone che non si conoscono (dal punto di vista delle capacità professionali) per posti di lavoro che non si conoscono.

Meritocrazia è un sistema di valori che valorizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza, dove “provenienza” indica un’etnia, un partito politico, l’essere uomo o donna; ma in Italia “provenienza” significa soprattutto la famiglia di origine. In Italia il sistema di valori è molto meno meritocratico di quello di altre società, come quella nord-americana e scandinava, molto più capaci di assicurarsi che la classe dirigente (il top 1 per cento o 10 per cento, a seconda delle definizioni) sia la migliore possibile. In Italia l’assenza di questo sistema di valori ha prodotto una classe dirigente debolissima: la mancanza di meritocrazia è molto più pervasiva di quanto non si creda, ed è diventata la causa principale del declino della nostra economia. Una classe dirigente inadeguata di policy makers, leader e dirigenti della pubblica amministrazione e purtroppo anche di azionisti che non si sono meritati la proprietà della propria impresa.

Sir Michael Young, il laburista inglese che nel 1954 creò il termine “meritocrazia”, ha inventato l’“equazione del merito”: I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (cognitiva ed emotiva, non solo l’IQ) ed “E” significa “effort”, ovvero gli sforzi dei migliori. La “I” porta a selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: è l’essenza delle “pari opportunità”. La “E” è sinonimo del libero mercato e della concorrenza che, sino a prova contraria, sono il metodo più efficace per creare gli incentivi economici per i migliori. I due valori della meritocrazia, pari opportunità grazie al sistema educativo e libero mercato, sono spaventosamente carenti nella società e nell’economia italiane.

(Tratto dal sito meritocrazia.com).

*********Chi è Roger Abravanel*********
Nato a Tripoli, Libia, nel 1946 in una famiglia ebraica, emigra in Italia nel 1963 e nel 1968 si laurea al Politecnico di Milano, conseguendo in seguito un MBA presso l’INSEAD. Ha lavorato per trentacinque anni per la società di consulenza McKinsey, raggiungendo le cariche di Principal nel 1979 e Director nel 1984, terminando la sua esperienza nel 2006. Attualmente opera nel settore del private equity, svolgendo l’attività di advisor e partecipa ai consigli di amministrazione di importanti aziende. Nel 2008 ha pubblicato il libro best-seller “Meritocrazia- Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto”. Nel 2010 ha pubblicato il suo secondo saggio “Regole”, e nel 2010 è uscito il terzo saggio “Italia, cresci o esci!”. Tutti i ricavi dei libri sono devoluti in beneficienza.

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