Analisi

Studio Ambrosetti: «Una terapia d’urto per il Digitale italiano»

Il rapporto “Stato, cittadini e imprese nell’era digitale”, presentato al workshop di Cernobbio, mette in luce i ritardi del Paese e traccia una via virtuosa per il rilancio: si potrebbero recuperare oltre 2 punti di Pil

Pubblicato il 09 Set 2013

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Utilizziamo poco i servizi di e-Government (22% contro una media Ue del 52%), l’economia digitale pesa l’1,7% sul Pil contro il 3,9% dell’Unione europea e siamo ultimi nella Ue-27 per lo sviluppo dell’e-Government. Il workshop di Cernobbio organizzato dallo Studio Ambrosetti rilancia tutti i problemi dell’Italia digitale spiegando però che basterebbe un minimo recupero di efficienza da parte della PA per produrre vantaggi fino a quaranta miliardi di euro. In pratica, basterebbe che ogni italiano utilizzasse mezz’ora in più i servizi pubblici online.

È uno dei dati dello studio “Stato, cittadini e imprese nell’era digitale” realizzato da Studio Ambrosetti in collaborazione con Poste Italiane, dove si spiega che siamo afflitti anche dalla polverizzazione dell’infrastruttura. Come già sottolineato da Agostino Ragosa, direttore dell’Agenzia digitale, sono oltre quattromila i datacenter della Pubblica amministrazione (mille della Pa centrale e gli altri che appartengono a Pal e sanità) che valgono una spesa di gestione pari a sei miliardi di euro. Di questi solo il 25% è pienamente utilizzato.

Anche le infrastrutture per le comunicazioni sono arretrate: le connessioni a 30 Mbps raggiungono solo il 14% delle abitazioni contro una media Ue-27 del 52% e delle trenta misure previste per l’implementazione dell’Agenda digitale italiana (istituita nel 2012 con due anni di ritardo rispetto all’Agenda Digitale Europea) solo quattro dispongono dei decreti attuativi, venti sono in ritardo e le rimanenti non hanno scadenze fissate.

Il rapporto critica anche la governance definendo il quadro “complesso” a causa dell’assenza di “un chiaro indirizzo centrale e della frammentazione a livello locale. Ritardi burocratico-procedurali frenano inoltre la realizzazione operativa delle misure prese”.

La strada è quella di una razionalizzazione con la creazione di un organo permanente di indirizzo strategico-politico nazionale, composto dal presidente del consiglio e dai ministri chiave (Interni, Tesoro, Sviluppo Economico, Pa).

Il lavoro sul campo spetterebbe all’Agenzia per l’Italia Digitale, “resa però pienamente operativa, dotata di risorse adeguate e con pieni poteri di attuazione senza il parere dei ministeri, ma con riporto diretto all’organo di indirizzo strategico-politico”.

Infine, è necessaria anche una struttura snella di coordinamento con chief digital officer regionali per allineare le agende digitali locali e mettere a sistema le pratiche eccellenti.

Secondo lo studio è necessario prevedere il coinvolgimento dei player del mercato nell’implementazione operativa dell’e-Government sotto l’indirizzo e il controllo dello Stato, creare un forte presidio nazionale sul fronte della cybersecurity (l’Italia non dispone ancora di un Cert nazionale per fare fronte alle minacce informatiche), distinguendo tra ruolo di coordinamento e indirizzo dello Stato e ruolo di attuazione da assegnare ad attori competenti e leader nei mercati di riferimento

Necessaria è la rapida realizzazione di un portale unico nazionale dei servizi di e-Government che dia spazio anche agli open data e infine il lancio di un piano d’azione, anzi una “terapia d’urto”, per gestire la fase di transizione e accelerare i processi di digitalizzazione.

Se tutto questo diventasse realtà si potrebbe arrivare a una crescita di due punti del Pil. Ma se riuscissimo a posizionarci sui valori del best performer i punti potrebbero essere 3,5.

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