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La larga banda non può attendere

Il rapporto presentato nei giorni scorsi da Francesco Caio analizza nel dettaglio le prospettive dell’infrastruttura su cui poggia lo sviluppo del digitale in Italia, mettendo in luce una realtà complessa e frammentata. Se il 50 per cento della popolazione entro il 2016 avrà i 30 Megabit – oggi siamo al 18 per cento – per i 100 Megabit la situazione è ancora più critica. Colmare il forte ritardo con il resto d’Europa richiede uno sforzo politico importante.

Pubblicato il 05 Feb 2014

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Francesco Caio, Commissario per l'Attuazione dell'Agenda Digitale

Il futuro della banda larga italiana da qui al 2020 è costellato di incertezze, in uno scenario gravato da troppi fattori negativi. Quindi solo uno sforzo politico importante e focalizzato sul digitale può salvarci da un destino di sottosviluppo. Possiamo riassumere così il concetto che emerge dalla lettura integrale del rapporto consegnato da Francesco Caio (commissario all’Agenda digitale presso la presidenza del Consiglio) al premier Enrico Letta.

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E sì, bisogna proprio leggere tutte quelle 80 pagine, non basta la sintesi divulgata il 30 gennaio, per capire tutta la complessità della situazione italiana, a cui ora Caio propone rimedi che di fatto poggiano sulla prossima programmazione di fondi europei e nazionali 2014-2020.

Il rapporto Caio- e il relativo comunicato stampa del Governo- comincia con una nota positiva: c’è un’accelerazione dei piani banda ultra larga degli operatori, rispetto a una stasi durata fino al 2012. Adesso è possibile stimare che circa il 50 per cento della popolazione entro il 2016 avrà i 30 Megabit, dall’attuale 18 per cento (dato che ci pone in forte ritardo con il resto d’Europa sulla banda ultra larga).

In realtà, questa buona notizia appare solo superficiale, a una lettura approfondita del rapporto. Per molti motivi qui e lì ribaditi. Per prima cosa, Caio scrive che la storia dei piani banda ultra larga italiana è costellata di delusioni. In passato quelli di Telecom Italia sono stati disattesi. Un vecchio piano industriale Telecom prevedeva 3 milioni di case raggiunte con fibra ottica entro il 2011, poi abbandonato (si è fermato a Milano; com’è noto, l’azienda ora sta sviluppando una copertura Vdsl2, invece della fibra nelle case).

Di qui Caio suggerisce monitoraggi periodici (ogni tre mesi) che il ministero dello Sviluppo economico dovrebbe fare per valutare l’effettivo stato di avanzamento dei piani degli operatori.

Di per sé questi, inoltre, anche se realizzati hanno numerose lacune. Le tre principali: si fermano al 2016, non parlano dei 100 Megabit ma solo dei 30 Megabit e sono concentrati sullo stesso 50 per cento circa della popolazione. Gli obiettivi indicati dalla Commissione europea invece guardano al 2020, quando vorrebbero una copertura totale a 30 Megabit e del 50 per cento della popolazione con i 100 Megabit. Alcuni Paesi, come la Francia, hanno già un’Agenda digitale che mira ad anticipare queste date. In teoria la nostra Agenda digitale si prefigge di soddisfare gli obiettivi europei, compensando le lacune dei piani degli operatori grazie a fondi pubblici, ma non si sa ancora se ne potrà disporre a sufficienza.

Caio si limita a prevedere che la copertura 2020 per i 30 Megabit, di questo passo, sarà intorno all’80 per cento della popolazione. Suggerisce quindi al Governo di chiedere agli operatori di esplicitare i propri piani 2020. Quanto al secondo problema, la sovrapposizione dei piani, raccomanda di utilizzare ogni modo possibile per fare sinergia e riutilizzo delle infrastrutture; quindi per evitare sprechi. Al momento, Agcom sta valutando le regole per la condivisione degli armadi a cui gli operatori intendono portare la fibra. Un certo coordinamento tra loro sarà comunque necessario per poter sviluppare tecnologie di vectoring, le quali consentono di superare i 30 Megabit con la Vdsl2 (fino a 50-70 Mbps nel breve periodo). Senza coordinamento, ci sono infatti interferenze sul cavo e quindi un calo drastico delle prestazioni.

Per i 100 Megabit la situazione italiana è ancora più critica. La tecnologia normale per raggiungere questa velocità è la fibra nelle case. Tuttavia, solo Metroweb aveva un piano di questo tipo e -si legge nel rapporto- ha deciso di metterlo in stand by dopo che Telecom Italia, Fastweb e, più di recente, Vodafone si sono messi a costruire reti Vdsl2 (di fatto togliendo spazi di mercato alle più costose reti 100 Megabit). Le risorse già stanziate per il piano Metroweb ora sono pure in un limbo, senza essere ancora riallocate in piani banda larga. Per l’esattezza, adesso Telecom ha una piccola copertura fibra nelle case a Milano e progetta di coprire il 50 per cento delle case con Vdsl2 entro il 2016. Fastweb offre i 100 Megabit su tutta la propria rete storia fibra nelle case, ma anche sulla nuova Vdsl2 (anche se in questo secondo caso, le velocità reali sono inferiori). Le due reti saranno sul 20 per cento delle case, entro il 2014. Vodafone ha piani per una rete Vdsl2 sul 26 per cento delle case e per portare fibra a un addizionale 3 per cento, entro il primo trimestre 2017.

Secondo Caio, stando così le cose, una grossa speranza per l’Italia è riposta nella tecnologia G.Fast che potrebbe portare i 100 Megabit (e oltre) su Vdsl2 su una parte consistente dei doppini italiani nel 2018-2020. Non si sa però su quanti e se sarà fattibile: è una tecnologia ancora immatura.

E purtroppo l’Italia non può sperare tanto in tecnologie a banda ultra larga alternative, nota Caio. L’Lte, da qui al 2020, potrà essere utile per raggiungere gli obiettivi europei solo nelle zone a bassa densità abitativa, si legge nel rapporto. In quelle ad alta, sarà solo complementare alla fibra, non potrà sostituirla, perché le prestazioni reali decadono in misura del numero di utenti presenti in cella.

Le tecnologie Lte Advanced promettono molto, ma possono dare banda ultra larga reale solo se supportate da una quantità sufficiente di frequenze radiomobili. Nel medio termine (2014-2020) l’Italia potrebbe forse liberare, a questo scopo, i 700 MHz, tra l’altro; ma sarà necessario un certo impegno politico per riuscirci perché sono frequenze ora gestite dalle emittenti televisive. Caio suggerisce quindi come priorità l’assegnazione della banda 1452-1492 (Uhf-L), tuttora non utilizzata in Italia, che potrà servire a potenziare la velocità di download su Lte.

Tirando le somme: soddisfare l’obiettivo 30 Megabit comporta “numerous challenges”, mentre per quello 100 Megabit “Italy’s prospects are uncertain at best”, si legge nel rapporto. Per dare i 30 Megabit a tutti, Caio stima sufficienti i fondi europei della prossima programmazione 2014-2020, ma suggerisce al Governo di allocarli in modo organico, con un piano nazionale. Quello dei 100 Megabit al 50 per cento della popolazione invece richiederà un “intervento pubblico addizionale sostanziale”, non solo con risorse pubbliche ma anche con policy a sostegno della domanda. Concetto molto ampio in cui Caio fa rientrare lo sviluppo di servizi di Pa digitale, disponibilità di contenuti video di qualità su internet e programmi di alfabetizzazione (anche su canali Rai).

Come si vede, la ricetta di Caio è chiara. Solo con un impegno a tutto tondo l’Italia può sperare di non perdere il treno europeo, sul futuro delle reti di telecomunicazione, asse portante dello sviluppo economico del Paese.

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