editoriale

Attività illecite nel PIL: ringrazieremo la mafia?

L’Unione Europea ha introdotto una modifica delle regole contabili, che contempla anche prostituzione, contrabbando e droga. Se è vero che il confine fra attività lecite e illecite, fra etico e non etico è quanto mai sfumato, preoccupa l’ulteriore arbitrarietà che si introduce nelle misurazioni del PIL e delle sue variazioni

Pubblicato il 25 Mag 2014

Pil

  @umbertobertele

Umberto Bertelè, che presiede l’Advisory Board di ICT4Executive, è ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano e presidente onorario del MIP. È autore del libro “Strategia” edito da Egea Clicca qui per scaricare il pdf

Sarà relatore sul tema della Disruptive innovation il 30 maggio all’Alma Graduate School di Bologna http://bit.ly/1guTfBM

Ci aspetta un futuro in cui dovremo ringraziare la mafia se – potenziando le sue attività di vendita di droga – provoca una variazione positiva (anche se piccola) del PIL, che rassicura il mercato finanziario e spinge verso il basso lo spread? O potremmo vedere un primo ministro che implora la polizia e i magistrati di ritardare qualche importante operazione, volta a sradicare i traffici illegali, per evitare ricadute negative sul PIL in una congiuntura particolarmente critica? O il lancio di una campagna pubblica a favore della prostituzione, per i suoi effetti benefici sull’occupazione?

Sto ovviamente scherzando, ma la notizia che a partire da quest’anno anche le attività illecite – nella fattispecie droga, prostituzione e contrabbando – entreranno a far parte del computo del PIL nella UE, a fianco di voci più “serie” quali gli investimenti in R&D (prima qualificati invece come spese correnti), è di quelle che inducono a riflessioni.

Stupisce – e un po’ rattrista – che l’UE debba ricorrere a una modifica delle regole contabili per imbellettare la sua immagine agli occhi del mondo, anche se i funzionari di Bruxelles si affannano a dichiarare che stiamo finalmente dando applicazione completa a quanto deciso nel lontano 1995. I Paesi cosiddetti periferici saranno ufficialmente meno indebitati, dal momento che verrà gonfiato il denominatore del rapporto debito/PIL. La pressione fiscale apparirà per la stessa ragione più accettabile, anche nel nostro Paese: ove peraltro risulterà minore il divario nei redditi fra nord e sud. Più basso risulterà come detto il tasso ufficiale di disoccupazione.

Non è che io non concordi concettualmente con i nuovi criteri. Il confine fra attività lecite e illecite è quanto mai sfumato (fuzzy se usiamo il bel termine inglese) e ampia è l’interazione fra le due tipologie di attività: sono le attività illecite che ad esempio fanno sì che i consumi in certe aree del nostro paese raggiungano livelli assolutamente inspiegabili guardando alle sole attività lecite censite; sono le attività illecite che spesso alimentano in misura significativa il mercato dei capitali e contribuiscono a finanziare attività viceversa lecite. Il confine è sfumato anche perché, se si ragiona in termini etici, diverse attività classificate come lecite non apparirebbero più tali guardando al modo in cui vengono gestite.

Quello che mi lascia perplesso è il grado di ulteriore arbitrarietà che si introduce nelle misurazioni del PIL e delle sue variazioni: una perplessità tutt’altro che accademica, se si pensa all’impatto che le tali misurazioni hanno sul mercato finanziario e sullo stesso impianto della finanza pubblica. Il problema di misurare correttamente attività che per loro natura non permettono una verifica diretta si era già presentato in modo prepotente a metà degli anni ’80, quando – su spinta del governo Craxi – il nero entrò a far parte del PIL, catapultandolo alla più alta posizione mai raggiunta (prima e dopo) nel ranking mondiale; con l’introduzione ora delle attività illegali – che peraltro non è chiaro se almeno in parte fossero già contemplate all’interno del nero –  si aggiunge un nuovo elemento di incertezza.

La forte arbitrarietà nella valutazione porrà all’Italia un’alternativa politica di grande rilevanza: se attribuire un valore elevato (probabilmente realistico) alle attività illecite, con il vantaggio di migliorare i parametri economico-finanziari ma con il rischio di trovarsi in una posizione top in una futura black list;  se viceversa sottostimarle per ragioni di immagine, perdendo ulteriori posizioni rispetto alla media dei Paesi UE che possono avvalersi – con i nuovi criteri contabili – di investimenti in R&D percentualmente più consistenti.

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